La nostra alimentazione odierna, oltre ad essere, come abbiamo detto più volte, frettolosa e inconsapevole, ha anche un altro elemento che la caratterizza: la monotonia. Sebbene infatti abbiamo a disposizione una vasta scelta di cibi e percepiamo una grande abbondanza di offerta nei supermercati, tutti tendiamo a mangiare sempre le stesse cose. Questo aspetto si evidenzia in particolare nel nostro rapporto con i cereali, alimento che si trova alla base della famosa piramide mediterranea. Se è vero che il farro è stato il primo cereale coltivato dall’uomo (da cui il nome farina) è fuori dubbio che, al giorno d’oggi, sia il grano a primeggiare sulle nostre tavole. Mangiamo grano a colazione, pranzo e cena, confezionato in forme diverse ma pur sempre questo nella sostanza. Questa predominanza non è soltanto indice di una scarsa varietà alimentare ma anche un effettivo rischio per la salute nel momento in cui il grano che scegliamo non sia di ottima qualità.
In effetti il frumento con cui sono preparati i principali prodotti di cui ci cibiamo quotidianamente (pane, biscotti, crackers, pasta, pizza) è, nella stragrande maggioranza dei casi, di provenienza estera e di varietà ibride selezionate in laboratorio e non, come succedeva fino ai primi del Novecento, con “esperimenti” naturali dei contadini, che sceglievano quelle varietà più adatte al terreno e alla regione di appartenenza. Le tipologie moderne di frumento sono state concepite con lo scopo di avere un cereale coltivabile a maggior resa: il grano moderno infatti è più basso e si spezza quindi meno con il vento ma è più facilmente aggredibile dalle erbe infestanti richiedendo pertanto una ingente quantità di erbicidi altamente tossici, come il glifosato, che vanno a contaminare non soltanto le farine (e di conseguenza la maggior parte dei prodotti in commercio) ma anche le acque e i terreni stessi con un impatto sull’uomo e sull’ambiente non indifferente. Alla raffinazione delle farine, necessaria per una lunga conservazione ma associata alla perdita di elementi nutritivi, si associa inoltre un reale rischio per la salute legato alla presenza di alte concentrazioni, nel grano “moderno”, di glutine, di sue componenti molto immunogene e di amilopectina. Clinicamente gli effetti si estrinsecano a vari livelli: innanzitutto è evidente e indiscusso negli ultimi anni un aumento drammatico dell’incidenza della malattia celiaca (che colpisce attualmente l’1% della popolazione) e della gluten sensitivity, sindrome complessa caratterizzata dai sintomi più vari ma che vede nell’eliminazione del glutine dalla dieta una chiave terapeutica fondamentale.
L’innesco di una reazione infiammatoria causata dalle componenti immunogene del glutine comporta poi la distruzione delle giunzioni serrate fra le cellule intestinali e quindi della stessa funzione barriera della membrana intestinale, con ripercussioni locali ma anche a distanza tanto da essere considerata corresponsabile di svariate patologie, dalle allergie alle patologie autoimmuni. Oltre all’azione del glutine un altro problema importante riguarda l’alto contenuto, nel grano “moderno”, di amilopectina di tipo A, responsabile di picchi glicemici, aumento di insulina e conseguente aumentato rischio di insulinoresistenza, diabete e obesità, a sostegno di quel preconcetto che, generalizzando, vede nei carboidrati il cibo più obesogenico ed esalta pertanto, ingiustamente, le diete “lowcarb”. Recentemente per fortuna si sta sempre più valorizzando l’importanza dei cosiddetti grani antichi: il nome è forse fuorviante in quanto si tratta di varietà presenti comunemente fino a 50 anni fa nel nostro territorio, pertanto non poi così antiche ma se vogliamo più “tradizionali”. Molti di questi grani contengono una minore quantità di glutine, in alcuni casi differente dal punto di vista molecolare: pensiamo per esempio al Monococco, che ha un profilo genetico più semplice e pone meno a rischio di sviluppare celiachia nei soggetti predisposti. Sono inoltre caratterizzati da un maggior contenuto di flavonoidi, vitamine e fibre e in generale presentano quindi un miglior profilo nutrizionale. Fra questi annoveriamo il Grano Verna, con proprietà addirittura ipocolesterolemizzanti, l’Inallettabile, fra tutti il più produttivo, il Gentil Rosso, il Timilia, il Senatore Cappelli e molti altri. Un buon atteggiamento sarà quindi quello di inserire queste varietà in modo più costante nella nostra alimentazione, alternandole, o sostituendole, al grano comune.
Bisognerà inoltre privilegiare nel quotidiano l’utilizzo di tutti gli altri cereali disponibili, quali grano saraceno, miglio, orzo, farro, riso integrale, quinoa nell’ottica di variare il più possibile la nostra giornata alimentare e assumere quindi da ogni cereale ciò che offre di peculiare dal punto di vista nutrizionale; ognuno di questi cereali infatti può dare un contributo prezioso di vitamine e oligoelementi. Il grano saraceno, per esempio, è una pianta molto antica, dall’alto contenuto proteico; è un buon regolatore del tasso glicemico nel sangue, molto indicato quindi, come anche il miglio, nei diabetici e una fonte valida di rame e magnesio.
Se i cereali senza glutine vanno aggiunti e intercalati agli altri nella nostra settimana alimentare, si sconsigliano invece i prodotti industriali senza glutine, appositamente creati per i celiaci: come tutti i prodotti raffinati non compensano il vantaggio della mancanza del glutine con una buona qualità nutrizionale, pertanto anche questi dovrebbero essere di uso solo occasionale.
Un utile consiglio è quello di masticare bene il cibo prima di inghiottirlo, atteggiamento che, se in generale ci insegna un modo di mangiare più calmo e consapevole, è importante in primis per la elaborazione dei cereali, che vedono proprio in bocca il loro primo momento digestivo.
Se la riduzione della monotonia è il primo obiettivo nella scelta del nostro “pane” quotidiano, il secondo, ma non meno importante, sarà quello di privilegiare i cereali integrali. Integrale vuol dire integro, intero, così come la natura l’ha concepito. Il cereale integro è a forma di chicco e comprende anche parti che nelle farine comuni e “raffinate” vengono scartate come il germe di grano e la crusca. Queste parti contengono la maggior parte delle vitamine (in particolare del gruppo B e E) così come oligoelementi e anche una discreta quota di fibre. Tutti questi elementi contribuiscono al ruolo antinfiammatorio, ben riconosciuto dalla scienza, del cereale integrale, opposto all’azione invece infiammatoria del cereale raffinato, per esempio sottoforma di farina bianca o pasta non integrale, che è documentata aumentare alcuni parametri indicatori di infiammazione nel sangue come la proteina c reattiva. Quando si decide di mangiare cereali integrali una raccomandazione è necessaria: il prodotto in questione deve essere biologico. Nella parte esterna infatti si concentrerebbero infatti tutte le sostanze tossiche come i pesticidi quindi l’effetto benefico di questi meravigliosi alimenti verrebbe in parte controbilanciato dall’assunzione di sostanze nocive per la nostra salute.
Riassumendo, variare i cereali nel corso della nostra giornata e settimana alimentare, prendere l’abitudine di consumarli in chicco o in ogni caso integrali e biologici, regalerà un valore aggiunto alla nostra salute, mitigando molto l’impatto glicemico del pasto e anche, non ultimo per importanza, quello infiammatorio, cosicché l’alimentazione potrà svolgere a pieno la sua azione preventiva e curativa.